mercoledì 16 novembre 2011

"Con Monti e Draghi l'Italia è in mano a poteri esterni che ci porteranno alla catastrofe"

Intervista a Giulietto Chiesa a cura di Ignazio Dessì - tiscali.it.


Mario Monti, il presidente del governo tecnico, incaricato di salvare l’Italia dai colpi dello spread, dagli scricchiolii della Borsa e dall’incedere del debito pubblico, insomma dalla crisi, ha annunciato agli italiani che occorreranno molti sacrifici per rivedere il sereno e tornare a crescere. E’ giusto dunque dare con fiducia un contributo nell’interesse generale o bisogna preoccuparsi? Ne abbiamo parlato con Giulietto Chiesa, il noto giornalista, scrittore e politico, che più volte ha puntato il dito contro i giochi speculativi dei potentati finanziari internazionali.

Giulietto Chiesa, gli italiani devono gioire perché i loro guai stanno per finire o devono preoccuparsi?

“C’è molto di cui preoccuparsi perché Mario Monti è la sintesi e l’emblema di un nuovo governo esterno alla democrazia italiana. Forse è la prima volta che il nostro Paese è governato formalmente da un gruppo di persone espressione di un potere esterno”.


A quale potere si riferisce?
“E’ difficile definirlo in termini sintetici. Formalmente è un potere europeo, sostanzialmente è un potere finanziario che interviene direttamente sulle sorti del nostro Paese attraverso due persone che si chiamano Mario Monti e Mario Draghi. L’uno è il banchiere centrale europeo, l’altro il nuovo capo del governo di questo Paese. Entrambi sono uomini della Goldman Sachs e, per meglio dire, uomini che hanno partecipato alla guida di una delle più importanti banche d’investimento mondiale. Il primo come vice presidente per l’Europa (2002-2005), l’altro come consigliere internazionale (2005). Ora assumono la guida dell’Italia e la lettera Draghi-Trichet, inviata questa estate al nostro governo, di fatto indica ciò che Monti si appresta ad eseguire”.

In poche parole l'unica cosa certa è che i cittadini devono aspettarsi ancora di versare lacrime e sangue. Del resto la Bce ce la sta mettendo tutta per farci capire che il nostro debito è un pericolo per l’economia europea e dobbiamo estinguerlo. E’ giusto che ci dissanguiamo per pagare questo debito?
“No, è assolutamente ingiusto. Questo debito è iniquo e illegale e per questa ragione ritengo che l’Italia non debba pagarlo. Lo dico basandomi su molti dati probanti. L’Italia è uno dei Paesi più sani d’Europa dal punto di vista del debito privato, corrispondente al 42% del Pil, mentre Paesi come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna e altri sono in condizioni di gran lunga peggiori. Basti pensare alla Gran Bretagna, che è fuori dall’euro, ma con un debito privato del 103% del Pil, praticamente più del doppio dell’Italia. Addirittura, se facciamo la somma del debito pubblico più il debito privato, scopriamo che l’Italia si trova al secondo posto come stabilità finanziaria dopo la Germania”.


Perciò dipingere l’Italia come una nazione sull’orlo del fallimento non è corretto?
“Presentare l’Italia come una nazione sull’orlo del fallimento è una evidente forzatura. Gli italiani hanno seguito molto meno di altri le favole della globalizzazione, non si sono indebitati, e hanno continuato a lavorare sulla base delle proprie risorse. Lo Stato italiano ha inoltre tra i 300 e i 400 miliardi di debito verso i propri cittadini (che dunque gli hanno prestato i soldi), cosa molto diversa dall’essere indebitati completamente verso l’esterno. Grosso modo abbiamo 750 miliardi del nostro debito imputabili all’intervento di grandi banche d’investimento che hanno acquistato Buoni del Tesoro italiani. Cifra enorme frutto della speculazione. Poi ci sono circa 900 miliardi frutto degli investitori istituzionali italiani sul mercato dei Bot, in parte dovuti alle banche italiane che hanno comprato questi bond e in parte al fatto che, per esempio, tutti i fondi pensione si sono buttati in attività speculative accumulando prodotti tossici. In sostanza siamo di fronte a un debito che va disaggregato. Una parte va ripianata ed un’altra no. La parte da ripagare è quella derivante dal fatto che lo Stato ha speso più del dovuto, e l’ha fatto perché le classi dirigenti hanno consentito ai ricchi di non pagare le tasse. Questa parte del debito va ripianata ma la domanda è chi la deve ripianare?”


Già, chi la deve ripianare?
“La devono ripianare quelli che non hanno pagato le tasse, non il popolo italiano nel suo complesso”.


Chiedere agli italiani grandi sacrifici è quindi ingiusto? Siamo nel pieno di un contrasto tra interessi della finanza e interessi dei cittadini?
“Dicendo che l’Italia è sull’orlo della bancarotta si raccontano un sacco di balle, e chiedendo agli italiani grandi sacrifici per uscire dalla crisi si crea una situazione gravissima di scontro tra le esigenze finanziarie del mercato mondiale e le esigenze della vita di 60 milioni di persone. E io metto in testa le esigenze della vita, dello studio, della salute e del lavoro di 60 milioni di persone”.


Sta forse parlando della crisi di questo capitalismo essenzialmente finanziario, di un modello economico irrimediabilmente logoro?
“Tutti i dati ci dicono che siamo arrivati a un punto di non ritorno. Questa finanza sta creando da 30 anni una gigantesca massa di debito basata su una speculazione forsennata per tenere alti i tassi di crescita della finanza stessa. Non c’è invero nessun rapporto tra questa crescita e l’economia reale, l’attività produttiva, il lavoro e la vita della gente. C’è una massa monetaria, il debito, che cresce su se stessa e tramite se stessa. Questa massa produce un disastro generalizzato e molte banche occidentali ed europee sono fallite tra il 2007 e il 2010, ma sono state ricapitalizzate con denaro fittizio fornito dalla banca centrale del pianeta, cioè dalla Federal Reserve. Nessuno ha fatto azioni contro di loro per farle fallire: sono fallite da sole. Il crollo del sistema finanziario mondiale è già avvenuto per ragioni endogene, secondo le leggi del mercato, cosa per cui quelle banche dovevano essere lasciate al loro destino. Ma in virtù della legge Too big to fail (troppo grandi per fallire) sono state salvate con denaro pubblico e denaro fasullo, cioè inesistente".


E ora, a 5 anni dall’inizio della crisi, siamo di nuovo da capo ed anche il Belpaese rischia.
“Esatto. Tutte queste banche, dopo avere speculato sui mutui facili degli Usa e aver arricchito per 6 anni Wall Street con una gigantesca massa di denaro che arrivava da tutto il mondo, hanno scoperto di essere in fallimento perché quegli asset erano inesigibili. Abbiamo creato un debito superiore a qualsiasi possibilità di chiunque di pagarlo, compresi gli Stati Uniti d’America. Quindi le grandi banche d’investimento americane ed europee cosa hanno fatto? Si sono gettate sui Bot europei perché pensavano che questi sarebbero stati esenti da ogni rischio in quanto coperti dalla Banca Centrale Europea, ed hanno cominciato a comprare a man bassa con fini speculativi i bond europei, scegliendo i paesi più deboli perché i loro Buoni del tesoro offrivano tassi di interesse più alti. Si sono precipitati sulla Grecia, sull’Italia, sulla Spagna, sul Portogallo comprando il debito pubblico di questi stati e mettendoli in circolazione attraverso i derivati, cioè ingigantendoli ulteriormente e portando questi Paesi al disastro. Il disastro greco è stato organizzato dalle banche di investimento internazionali, protette dall’Europa, e con lo stesso meccanismo stanno cercando di creare il disastro italiano”.

Lei ha affermato che siamo commissariati dalla Bce, dal Fmi, ed ha parlato di una sorta di Matrix, un mondo in cui la democrazia è virtuale e non ci sono punti di riferimento per i cittadini i quali, per giunta, spesso non se ne rendono conto. Qual è la pillola da assumere come nel film per rompere il meccanismo? Forse prendere coscienza e mobilitarsi?
“Mi ha tirato fuori le parole di bocca. Stiamo andando verso la catastrofe, una crisi più grande di quella del ‘29. Le banche internazionali si sono scavate la fossa ed ora, per salvarsi, la vogliono scavare a noi. Quindi per sfuggire al disastro bisogna rompere questo meccanismo”.

Come?
“Prima di tutto non pagando il debito, denunciandolo, poi aprendo una discussione in Europa per modificare le regole che l’hanno retta finora. Le prime regole da cambiare sono gli accordi di Maastricht, che costringono gli stati europei a fare ricorso per finanziarsi al mercato speculativo internazionale. Un mercato drogato e impazzito, per cui gli stati diventano drogati e impazziti a loro volta. Inoltre, per rompere questo meccanismo perverso, bisogna creare un movimento internazionale popolare di opposizione che respinga questa linea e dica che questa Europa così com’è va riformata radicalmente, ridiscutendone la costituzione e le regole per andare a un’Europa che tenga conto degli interessi dei popoli".

E se non ci riuscissimo?
"O andiamo in questa direzione dove ci possiamo salvare o andiamo nella direzione che ci propone il signor Mario Monti, quella della catastrofe. Quando Monti e altri ci ribadiscono infatti che adesso dobbiamo sacrificarci perché poi ricominceremo a crescere mentono. Non possono non sapere che questa prospettiva non esiste. Noi andiamo semplicemente verso una recessione di proporzioni anch’esse gigantesche. E questo dimostra che queste persone sono in cattivissima fede”.

Fonte: http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/11/11/chiesa-intervista-monti.html?news.

Una lettura geopolitica della Crisi

di Pierluigi Fagan – Megachip.

Un possibile percorso interpretativo della crisi, normalmente trascurato dalla principale corrente dei media, potrebbe passare anche attraverso una lettura delle dinamiche che intercorrono tra blocchi geopolitici.

Osservando una sorta di foto panoramica coglieremo meglio quegli elementi che nelle immagini troppo di dettaglio della crisi tendono a sfuggire.



Seguiamo questa ipotesi:


Con il peggiorare della situazione spagnola e francese (ma è di oggi l’attacco al Belgio, all’Olanda e all’Austria) è ormai chiaro che la crisi di sfiducia dei mercati è sistemica: è nei confronti dell’Euro – Europa e non nei confronti di uno o due paesi.

Chi sono i “mercati”? Di essi si possono dare due descrizioni. La prima è quella tecnica, ovvero la sommatoria di singole azioni di investimento prese in base alle informazioni disponibili. I mercati sono storicamente affetti da sindrome gregaria, per cui se una massa critica (quantità) o qualificata (qualità) si muove in una direzione, tutto il mercato la segue. Ciò adombra una seconda descrizione possibile ovvero quella dell’interesse strategico che una parte dotata di impatto quantitativo e qualitativo potrebbe avere, trascinando con sé il resto del mercato. I mercati, di per loro, non hanno interesse strategico: si muovono nel breve termine. Alcuni operatori di mercato però (banche e fondi anglosassoni) potrebbero avere interessi strategici e soprattutto essere in grado di perseguirli sistematicamente (rating, vendite alla scoperto, calo degli indici, rialzo dello spread, punizioni selettive, operazioni sui CDS, manovrare non solo i mercati ma - data l’importanza che questi hanno - l’intera vicenda sociale e politica di una o più nazioni. Tali comportamenti non solo perseguono un vantaggio a lungo periodo di tipo geostrategico ma garantiscono anche di far molti soldi nel mentre lo si persegue, una prospettiva decisamente invitante ).

Quale potrebbe essere l’interesse strategico che muove alcuni operatori di mercato ? Decisamente lo smembramento e il depotenziamento europeo. Colpire l’Europa significa: 1) eliminare il concorrente forse più temibile per la diarchia USA – UK, tenuto conto che con la Cina c’è poco da fare; 2) riaprirsi la via del dominio incondizionato del territorio europeo secondo l’intramontabile principio del “divide et impera”; 3) eliminare una terza forza (USA – ( EU ) – Cina) riducendo la multipolarità a bipolarità, una riduzione di complessità. Male che vada si sono comunque fatti un mucchio di soldi e il dettato pragmatista è salvo.
Su cosa contano i mercati ? Sulla oggettiva precarietà della costruzione europea al bivio tra il disfacimento e un improbabile rilancio strategico verso progetti federali. Sulla distanza tra opinioni pubbliche e poteri politici che rende appunto “improbabile” un rilancio dell’iniziativa strategica europeista proprio nel momento di maggior crisi, dove si innalzano non solo gli spread ma anche la paura, l’ottica a breve, la difesa del difendibile ad ogni costo, la rinascenza dell’egoismo nazionale. Sulla oggettiva asimmetria tra Germania e resto d’Europa, una asimmetria strutturale che fa divergere gli interessi, ma più che altro la scelta del come far fronte ad un attacco del genere. È pensabile che tutta Europa pur di mettere a sedere in breve tempo la c.d. “speculazione” , concorderebbe facilmente e velocemente sulla possibilità di far stampare euro in BCE per riacquistare debito, magari a tassi politici (un 2% ad esempio ) ma per la Germania questo è semplicemente inaccettabile. Infine sia la Germania, sia la Francia, sia a breve la Spagna e un po’ dopo la Grecia avranno appuntamenti elettorali (nonché ovviamente l’Italia ) e questi condizioneranno in chiave “breve termine” e “nazionale” le ottiche politiche. Ciò potrebbe spiegare anche il: perché adesso ?

A ben vedere e se volessimo seguire l’ipotesi “complotto anglosassone” si presenta anche un obiettivo intermedio: poter premere per disaggregare l’Europa in due, tutti da una parte e l’area tedesca dall’altra (area tedesca = da un minimo della sola Germania, ad un massimo di Olanda, Austria, Slovacchia ? Finlandia ? Estonia ? con particolare attrazione nei confronti dell’ex Europa dell’Est).

L’euro rimarrebbe all’interno di una zona che avrebbe la Francia e l’Italia come poli principali, si svaluterebbe, perderebbe il suo potenziale di moneta internazionale concorrente del dollaro (diventerebbe, per quanto rilevante, una moneta “regionale”).

Il deprezzamento dell’euro, secondo alcuni analisti, era forse l’obiettivo primario di questa ipotizzata strategia. Il fine minimo sarebbe quello di riequilibrare la pericolante bilancia dei pagamenti statunitense, oltre agli obiettivi di geo monetarismo.

Altresì il “nuovo marco” si apprezzerebbe, chiudendo un certo angolo di mercato dell’esportazione tedesca cosa che faciliterebbe l’espansione dell’export americano che gli è, per molti versi, simmetrico.

Ciò che gli USA perderebbero per l’apprezzamento dollaro – nuovo euro (perderebbero in export ma guadagnerebbero in import, le bilance dei pagamento USA e UK sono le più negative nei G7) lo recupererebbero nel deprezzamento dollaro – marco, ma a ciò si aggiungerebbero tutti gli ulteriori benefici del dissolvimento del progetto di Grande Europa.

Il progetto Grande Europa guardava oltre che ad est anche al Nord Africa, al Medio Oriente ed alla Turchia, al suo dissolvimento questi, tornerebbero mercati contendibili.

Da non sottovalutare il significato “esemplare” di questo case history per quanti (Sud America, Sud Est Asiatico) stanno pensando di fare le loro unioni monetarie.

Una volta sancito il divorzio euro – tedesco, l’Europa quanto a sistema unico, svanirebbe in un precario ed instabile sistema binario ed avrebbe il suo bel da fare almeno per i prossimi 15 - 20 anni.

Una strategia geo politica oggi, non può sperare in un orizzonte temporale più ampio. Forse questa ipotesi ha il pregio di funzionare sulla carta ma molto meno nella realtà.

Il giorno che s’annunciasse questo cambio di prospettiva (anticipato da un lungo, lento e spossante succedersi di scosse telluriche) spostare la BCE a Bruxelles e riformulare tutti i trattati sarebbe una impresa a dir poco disperata. Con i governi in campagna elettorale poi sarebbe un massacro. Ma non è altresì detto che ciò che ci sembra improbabile in tempi normali, sia invece possibile o necessario in tempi rivoluzionari.

Il silenzio compunto degli americani sulla crisi dell’eurozona potrebbe testimoniare del loro attivo interesse in questa operazione. Se ci astraiamo dalla realtà e guardiamo il tutto con l’occhio terzo di un marziano, non un atto, non un incontro, non un pronunciamento se non quelli di prammatica (digitate Geithner su Google e troverete una pagina che riporta una sola frase:” l’euro deve sopravvivere[1]” dichiarato il 9.11.2011, un gran bel pronunciamento) , accompagnano la crisi del primo alleato strategico degli USA. La crisi è degli europei e gli europei debbono risolverla, questo il refrain che accompagna gli eventi. Quale terzietà ! Quale bon ton non interventista ! Quale inedito rispetto delle altrui prerogative sovrane !

Al silenzio americano, fa da contraltare il chiacchiericcio britannico dove Cameron non passa giorno (e con lui il FT, l’Economist e molti economisti a stipendio delle università britanniche ed americane ) senza sottolineare come l’impresa dell’euro non aveva speranze e ciò a cui assistiamo non è che la logica conseguenza di questo sogno infantile. Sulla tragica situazione dell’economia britannica avete mai sentito pronunciar verbo ?

Qualche giorno fa c’è stata una frase del tutto ignorata anche perché pronunciata dal Ministro degli Esteri francese Alain Juppé (le connessioni neuronali dei giornalisti sono sempre a corto raggio e soprattutto mancano sistematicamente di coraggio). Cos’ha detto Juppé? Relativamente alle notizie sull’Iran, ha pronunciato un pesante giudizio: “gli Stati Uniti sono una forza oggettivamente destabilizzante”.

Da ricordare il disprezzo americano che ha accompagnato l’ipotesi “Tobin tax” sostenuta virilmente da Sarkozy all’ultimo G20 e le impotenti lagnanze dell’Europa per lo strapotere non del tutto trasparente dei giudizi di rating, nonché le lamentale off record di Angela Merkel sull’indisponibilità anglosassone a dar seguito ai buoni propositi regolatori della banco finanza internazionale che si sprecarono all’indomani del botto Lehman e che sono poi diventati remote tracce nelle rassegne stampa.

Il punto è quindi tutto in Germania. O la Germania sceglierà il destino che le è stato confezionato da questa presunta strategia o avrà (un improbabile) scatto di resistenza.

Da una parte, il consiglio dei saggi dell’economia tedesca (la consulta economica del governo tedesco è una istituzione che è eletta direttamente dal Presidente della Repubblica) che ha nei giorni scorsi emesso il suo verdetto: tutti i debiti sovrani dell’eurozona che eccedono il 60% di rapporto debito/Pil vanno ammucchiati in un fondo indifferenziato e sostenuti dall’emissione di eurobond garantiti in solido dai singoli stati ognuno in ragione ovviamente della sua percentuale di debito in eccedenza.

Gli eurobond sicuri e garantiti spalmerebbero l’eccesso di debito in 25 – 30 anni, (quello della dilazione temporale è poi ciò che sta facendo la Fed che compra bond del Tesoro Usa a breve per farne riemettere a lungo).

Dall’altra parte la cancelliera tedesca agita lo spettro di una quanto mai improbabile rinegoziazione del Trattato di Maastricht in senso ulteriormente restrittivo e con diritto di invasione di campo nelle economie politiche nazionali da parte degli eurocrati di Francoforte. La Germania però non sembra potersi porre all’altezza dei suoi compiti strategici e probabilmente lascerà fare agli eventi.

Laddove una volontà forte, intenzionata ed organizzata incontra una volontà debole, dubbiosa e con competizione delle sue parti decisionali, l’esito è scontato. Vedremo come finirà.

[1] “sopravvivere” è il termine esatto che fa capire quale sarebbe il desiderio americano, un tramortimento, un depo tenziamento che non faccia tracollare la già più che certa recessione che ci aspetta nel prossimo decennio. Comunque al di là delle parole, nei fatti, l’empatia americana per la crisi europea è tutta in questa magra frase.

sabato 2 aprile 2011

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