venerdì 26 settembre 2008

I: ANGELO SARACINI INCONTRA il Pres.NAPOLITANO E il Sen.MANTICA AD ATENE




ANGELO SARACINI

Comunicato Stampa

Durante l'incontro del Presidente Napolitano con la nostra comunita' Angelo Saracini ha donato personalmente a Napolitano una Biografia della storica Famiglia Damiani di Venezia,tipografi dal 1500, e il cui ultimo discendente Nicola eroe di guerra  combatte' in Grecia prima come soldato italiano,e a seguito dell'armistizio imprigionato dagli italiani,e poi in seguito imprigionato ,ancora una volta,come partigiano combattente nelle fila della Resistenza greca.Napolitano ha dimostrato molto interesse a questa storia riservandosi di leggerla con attenzione.
Inoltre Saracini ha incontrato anche il sen.Mantica al quale ha riferito personalmente della grave situazione del Comites Grecia e della   mancanza di rappresentativita' di un giovane greco alla prossima conferenza dei giovani Italiani all'estero.

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mercoledì 24 settembre 2008

ARGENTINA: UN CASO ESEMPLARE DI DISCRIMINAZIONE AI DANNI DI UNA CITTADINA ITALIANA


Il caso di Susana Mc Kena, impiegata a contratto per molti anni presso le Scuole Italiane di Buenos Aires che sta chiedendo la revisione delle decisioni della Pubblica Amministrazione che le ha negato il riconoscimento dei diritti giuridici e professionali causandole notevoli danni.

Susana Mc Kena ha ottenuto la cittadinanza italiana nel 2001 grazie ad una norma esplicitamente prevista nella nostra legge sulla cittadinanza, (in base all’art. 9, comma 1, lettera c) della legge 5.2.1992, n. 91 e dell’art. 7, della legge 18.5.1973, n. 282). Il problema è che l'ha ottenuta dopo otto anni di complicazioni che le hanno negato la possibilità di svolgere la sua carriera di insegnante a cui aveva diritto.
Ed anche dopo che il Presidente della Repubblica, il 19 gennaio del 2001, la ha riconosciuta cittadina italiana a tutti gli effetti proprio per il lavoro da lei svolto al servizio dello Stato Italiano, l'Amministrazione Italiana (Consolato di Buenos Aires - MAE) hanno continuato a sostenere che non era titolare dei diritti conseguenti, poichè -secondo la loro interpretazione- la Sig.ra Mc Kena avrebbe lavorato alle dipendenze di enti privati.

DOMANDA d'OBBLIGO: Vale più la parola (e decisione) del Presidente della Repubblica o quella del Console?
Vedremo cosa scaturirà dall'Udienza fissata per il giorno 03 ottobre presso la Corte d'Appello di Roma, Sezione Lavoro.


Il testo della lettera che ci la Sig.ra Mc Kena ha inviato a Emigrazione Notizie


"Mi rivolgo rispettosamente a voi pregandovi di esaminare i fatti qui esposti su un caso (il mio) di palese ingiustizia che si protrae ormai da 15 anni.

Ho lavorato come insegnante nelle Scuole Italiane a Buenos Aires in favore della collettività italiana in Argentina ad un livello particolarmente elevato, qual'è quello della cultura e dell'insegnamento, insegnando ininterrottamente dall’anno 1980 fino al 2001 ai sensi della Legge n.327 del 1975, ovvero dei comandi ai sensi del t.u. n. 740 del 1940 e del DPR 215 del 1967, formando parte delle Commmisioni degli Esami di Licenza Media, come insegnante di lettere, sotto la Presidenza di un Commissario Governativo, nominato dal Provveditore agli Studi, con funzione di controllo in sede di maturitá ed inviato dal Ministero degli Affari Esteri, D.P.G.R.C, Ufficio V, nonchè partecipando alle operazioni di scrutinio e a tutti gli atti relativi agli esami, con il beneplacito del Console Generale a Buenos Aires (che all'estero funge da Provveditore agli Studi) e dal Ministero degli Affari Esteri (che esprime il nulla osta agli esami in questione).
Ovviamente, gli esami di licenza media e di maturità si svolgono in modo conforme all’ordinamento giurdidico italiano.

Risultavo inoltre per lungo tempo iscritta nelle Graduatorie compilate dal Consolato Generale d'Italia per il conferimento delle supplenze ministeriali all'estero per la Classe CL 034A - Abilitati residenti, Titoli culturali 38.50, Titoli didattici 156, Totale 194.50, come risulta da un Telespresso indirizzato al Ministero degli Affari Esteri - D.G.P.C.C Ufficio IV e.p.c. D.G.I.E.P.M. Ufficio II con data 30 novembre 2000, numero protocollo 37/80.

Il desiderio di acquisire la cittadinanza italiana fu motivato dal fatto di sentirmi profondamente legata all'Italia e ritenendo che tale acquisizione poteva consentirmi di svolgere in modo più completo ed efficace il mio lavoro di insegnante, permettendomi di rappresentare anche a livello ufficiale la cultura e l'attività educativa italiana. Ed era proprio in forza di detto rapporto di lavoro, con tutti i diritti ed i doveri di un insegnante italiano che chiedevo la cittadinanza italiana in base all’art. 9, comma 1, lettera c) della legge 5.2.1992, n. 91 e dell’art. 7, della legge 18.5.1973, n. 282, potendo dimostrare una prestazione del servizio doppio rispetto al minimo previsto dalla legge.

Ma con una nota n. in data 25.8.1993 il Console Generale d’Italia a Buenos Aires mi comunicava che il Ministero dell’Interno aveva confermato l’impossibilità di dare corso alla richiesta di cittadinanza italiana “non ricorrendo, nel suo caso, la fattispecie ora disciplinata dalla suddetta legge".

A questo punto non mi rimaneva che ricorrere al Giudice Amministrativo il quale dopo due gradi di giudizio e sette anni di tempo, con decisione n.3178/2000 del 2 giugno 2000 ha finalmente riconosciuto il mio diritto.

Nel 2001, con Decreto del Presidente della Repubblica (allora Carlo Azeglio Ciampi) del 19 gennaio 2001 mi è stata concessa la cittadinanza italiana. Il 3 dicembre 2002 ho quindi promosso un ricorso nei confronti del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca Scientifica per il riconoscimento del diritto all’inserimento in ruolo, ma con sentenza n.7872/2006 del 20.4.2006 il Giudice del Lavoro di Roma ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria, rientrando nella giurisdizione Amministrativa.

Nel frattempo in data 10 ottobre 2003 fui convocata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a Roma per il Collegio di Conciliazione ex art. 66 D.Lgs. 165/2001 ma come risulta dal Processo Verbale di mancata conciliazione (Repertorio n. 2032/03) neanche in quell'opportunità ottenne il riconoscimento del diritto all’inserimento in ruolo “ora per allora” alle classi di concorso AO43 e AO50.

Le dichiarazioni in merito al mio lavoro fornite dalle Scuole Italiane Cristoforo Colombo e Centro Culturale Italiano in data 19 febbraio 2003 e dal Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires con data 24 febbraio 2003 in risposta al Telespresso Ministeriale n. 268/4185/F del 30 gennaio 2003 sono in palese contraddittorietà con il mio lavoro svolto: Negano che il servizio sia stato prestato “alle dipendenze dello Stato”, definendo le suddette Scuole Italiane “Associazioni di diritto privato argentino senza fini di lucro”, equiparabili per analogia agli Enti Gestori dei corsi di lingua italiana organizzati dai CO.A.SC.IT (Comitati Assitenza Scolastica Italiani all’estero) di diritto privato.

Da evidenziare però che mi è stata conferita la cittadinanza italiana dal Presidente della Repubblica proprio in virtú del lavoro svolto come insengnate presso le Scuole italiane a Buenos Aires.

Tramite il mio legale mi rivolgo allora alla Corte d'Appello di Roma, Sezione Lavoro, essendo stato fissata la prossima Udienza per il giorno 03 ottobre prossimo.

Sono ormai prossima alla pensione e per i gravi motivi che espongo nei fatti narrati non ho potuto godere della pienezza dei diritti che mi spettano per legge, nè usufruire delle norme previste per gli insegnanti all'estero in materia di diritto al lavoro, perdendo ogni possibilità di inserimento nella Scuola, essendo ormai trascorsi già 15 anni di attesa per vedere riconosciuti i miei diritti.

Vi ringrazio per l'attenzione che vorrete prestare al mio caso."


Susana Mc Kena
Córdoba, 22 settembre 2008

giovedì 18 settembre 2008

dalla Grecia per voi

http://sibilla-gr-sibilla.blogspot.com/2008/09/nuovo-portale-delle-migrazioni-e-degli.html

Il paese Ellenico ha spiccato un mandato di arresto europeo

Il ventiquattrenne, prelevato in mattinata, rischia oltre dieci anni
Il paese Ellenico ha spiccato un mandato di arresto europeo

Droga, Zanotti estradato in Grecia
Nel 2005 fermato con uno spinello

"Traffico internazionale, detenzione e spaccio di droga" le accuse a suo carico


RIMINI - Nella mattinata, intorno alle 5 e 30, è stato arrestato il riminese Luca Zanotti che in serata verrà estradato in Grecia per rispondere dell'accusa di traffico internazionale, detenzione e spaccio di droga che in caso di condanna prevedono una detenzione non inferiore ai 10 anni. Nel 2005 il ventiquattrenne, insieme all'amico Davide D'Orsi, era stato fermato dalle autorità elleniche nel Peloponneso con 21 grammi di hashish.

La Cassazione nei giorni scorsi ha concesso alla Grecia di detenere Zanotti in attesa del processo che, secondo le prime informazioni, potrebbe tenersi a metà ottobre. Il riminese rimarrà nel carcere di Kalamata, prima di essere trasferito ad Atene in attesa del giudizio. Proprio la località di detenzione è motivo di preoccupazione tra i familiari a causa della durezza del regime carcerario greco.

La vicenda. Luca Zanotti e Davide D'Orsi sono stati fermati dalla polizia greca nel 2005, durante una vacanza nel Peloponneso. I due, che all'epoca avevano rispettivamente 21 e 25 anni, furono trovati con 21 grammi di hashish ed arrestati dalle autorità elleniche per possesso di sostanze stupefacenti. Dopo quattro giorni in cella e il pagamento di 2.500 euro di cauzione furono infine rilasciati potendo così tornare in Italia.
La procedura legale è andata avanti con la richiesta della magistratura greca di estradare i due ragazzi per sottoporli a processo, concessa per Zanotti e respinta per D'Orsi, nei confronti del quale servirà però un'altro processo d'appello.

La mobilitazione. In difesa dei due ragazzi si sono mobilitate forze politiche e associazioni. A inizio settembre si è svolta una manifestazione di solidarietà a Sant'Arcangelo di Romagna, paese di origine di Zanotti, alla quale avevano preso parte anche il sindaco Vannoni e i parlamentari riminesi Marchioni (Pd) e Pizzolante (Pdl) e che si era conclusa con la raccolta di un migliaio di firme. Pochi giorni dopo, l'onorevole Elisabetta Zamparutti, esponente del partito Radicale eletta nelle liste del Pd, ha rivolto un'interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia, chiedendo che non venisse eseguita l'estradizione. Per perorare la propria causa Zanotti ha anche aperto blog con tutti gli aggiornamenti sulla propria situazione, a cui si affianca la raccolta di adesioni giunta fino ad ora a 1.500 firme.

Le accuse. Nei confronti dei due ragazzi sono state avanzate accuse molto pesanti: traffico internazionale, detenzione, spaccio e uso di sostanze stupefacenti. La legge greca non prevede infatti distinzione tra la detenzione ad uso personale e lo spaccio di droghe, quindi Zanotti rischia una pena non inferiore ai 10 anni di carcere in caso di condanna.

due italiani arrestati in Grecia nel 2005 per detenzione di 21 grammi di haschisc,oggi estradati dall'Italia rischiano 10 anni di carcere

 
pubblicato sui blog greci
 

Πέμπτη, 18 Σεπτέμβριος 2008

Δικαστές, αστυνομία και κυβέρνηση ρεζιλεύουν διεθνώς την Ελλάδα

Ενώ οι έμποροι ναρκωτικών πλασάρουν ελεύθεροι το θάνατο παντού και κυρίως στα στέκια της «καλής κοινωνίας».
Ενώ για τις φυτείες και τις «εξαγωγές» δεν συλλαμβάνεται κανένας.
Ενώ τα ναρκωτικά τα πουλούν έξω από τα σχολεία των παιδιών μας και η αστυνομία δεν έχει συλλάβει ΟΥΤΕ ΕΝΑΝ.
Ενώ δεν έχει δικαστεί ΟΥΤΕ ΕΝΑΣ από τους κλέφτες της περιουσίας του λαού.
Η Ελλάδα, για μια ακόμη φορά έγινε διεθνώς ρεζίλι!
Η μεγαλειώδης αστυνομία μας και οι αδέκαστοι δικαστές μας, συνέλαβαν το καλοκαίρι του 2005, σε διακοπές (21 και 25 χρονών), με ΕΝΑ τσιγάρο χασίς.
Κρατήθηκαν, πλήρωσαν εγγύηση και επέστρεψαν στην Ιταλία, αναμένοντας τη δίκη.
Αμ δε! Η Ελλάδα, θυμίζοντας σ' ολόκληρο τον πολιτισμένο κόσμο το «Εξπρές του Μεσονυχτίου», θέλησε να εξαντλήσει όλα τα περιθώρια της ελληνικής γελοίας νομοθεσίας.
Επιτέλους, ο ένας εγκληματίας ενός τσιγάρου εκδόθηκε στην Ελλάδα! Και μαζί μας γελάνε και οι κότες!
Διεθνείς, πολυδάπανες διαδικασίες 3 χρόνων, και επιτέλους η έννομη «τάξη» αποκαταστάθηκε. Η Ελλάδα κατόρθωσε, ο σήμερα 23χρονος νεαρός Ιταλός, να εκδοθεί στη χώρα μας και να μείνει φυλακισμένος μέχρις ότου γίνει η δίκη του.
Τα τηλεοπτικά μέσα δυσφημίζουν διεθνώς τη χώρα μας. Καμία ευρωπαϊκή νομοθεσία δεν προβλέπει ποινές για κατοχή και χρήση 1 τσιγάρου χασίς. Κοινοβουλευτική αντιπροσωπεία της Ιταλίας (δεξιοί και κεντρώοι) θα επισκεφθούν τον νεαρό στις ελληνικές φυλακές!
- εφημερίδα "Repubblica"
- μπλογκ συμπαράστασης που περιέχει βίντεο με τα δελτία ειδήσεων
- συλλογή υπογραφών συμπαράστασης
Η κυβέρνηση, οι δικαστές και η αστυνομία δεν ντρέπονται καθόλου για τη γελοιοποίηση της χώρας μας.
Πόσους χασισέμπορους συνέλαβαν στα Ζωνιανά ή αλλού;
Πόσους έμπορους συλλαμβάνουν κάθε μέρα στο Κολωνάκι;
Πόσους έμπορους συλλαμβάνουν έξω από τα σχολεία;
Πόσοι επώνυμοι και με κόκα συλλαμβάνονται και αφήνονται ελεύθεροι;
Σε έναν νεαρό ιταλό, που στη χώρα του καπνίζει ελεύθερα, εξάντλησαν την εκτέλεση της «αποστολής» τους;
Ντροπή!

firma la petizione

 
 

 

Italiano arrestato ed estradato in Grecia

Il giovane, 20 anni, fermato nel 2005 nel Peloponneso con 21 grammi di hashish. L'accusa: traffico internazionale di droga.
La Cassazione ha concesso alle autorità elleniche di detenerlo in attesa di giudizio
 
 
angelo saracini
atene

lunedì 15 settembre 2008

SI PUO’ ANCORA TRATTARE COL REGIME LIBICO?

di Agostino Spataro

L'accordo sottoscritto fra Berlusconi e Gheddafi per il risarcimento dei gravissimi danni inflitti al popolo libico dal colonialismo italiano (specie durante la spietata repressione d'epoca fascista) più che consensi ha suscitato perplessità e strascichi polemici.
Soprattutto a proposito dei suoi contenuti un pò pasticciati e dei costi molto più elevati del previsto. Quasi nessuno, stranamente, ha evidenziato un aspetto banale ma decisivo: il fatto che questo Paese è nelle mani di una leadership che si è autoaccusata degli attentati terroristici contro due aerei civili, nei quali perirono diverse centinaia di persone innocenti.
Ma andiamo con ordine. Cominciamo dai cinque miliardi di euro (in 20 anni) accordati alla Libia. Sono molti, sono pochi, sono una cifra equa?
Di fronte alla gravità dell'eccidio perpetrato nessuna somma può essere considerata risarcitoria, proporzionata. Nessun ragioniere al mondo potrà mai quantificare il valore di una vita umana. Figurarsi l'entità venale di un eccidio del quale poco si è parlato e scritto nel nostro Paese.
Fino al punto d'impedire, in tempi di Repubblica antifascista, la circolazione nelle sale italiane del film libico "Il leone del deserto" che tratta di alcuni episodi della resistenza libica, con al centro
l'eroica figura di Omar Muktar che Graziani fece impiccare alla veneranda età di quasi 80 anni.
Ma in questo caso stiamo parlando di un accordo diplomatico fra Stati e non possiamo, certo, pretendere una contabilità al centesimo. Sono le parti a stabilirne la congruità secondo logiche e criteri talvolta inconfessabili e sempre secondo la "ragion di Stato" che è ben altra cosa
rispetto alla "ragion dei popoli".
C'era chi s'attendeva dalla firma di questo accordo l'immediato blocco delle partenze dalle coste libiche dei barconi adibiti al vergognoso traffico di esseri umani. Registriamo, al momento, che le carrette del mare continuano a partire dalla Libia e ad arrivare, come il solito, a Lampedusa e in altre località costiere siciliane e meridionali.
Aspetti complessi di un rapporto difficile, altalenante fra i due Paesi che si auspica vengano chiariti ed affrontati in sede di ratifica parlamentare.

Un lungo negoziato in cui le parti hanno giocato al rinvio

Semmai vi sono altri problemi, prevalentemente politici, che governo e partiti dovrebbero chiarire. A cominciare dal grave ritardo col quale si è pervenuti all'accordo.
Certo, vi sono state difficoltà negoziali, tuttavia la storia di questa pluridecennale trattativa ci dice che d'ambo le parti si è giocato al rinvio.
Anche perché il negoziato è stato usato in modo improprio, come carta vincente in un gioco un po' cinico nel quale, per mezzo secolo, si sono intrecciati i destini del regime libico con i più concreti interessi italiani d'industrie di stato e di esportatori al seguito.
Il capitolo delle relazioni fra l'Italia e la Jamahjriya (Libia) del colonnello Gheddafi, anche durante l'embargo, è in gran parte da scrivere.
Comunque siano andate le cose, un fatto è certo: la vituperata "prima Repubblica" riuscì a maturare sulla questione libica, come in generale su quelle araba e mediterranea, un orientamento ampiamente condiviso, ben oltre i confini delle maggioranze parlamentari. La politica estera italiana aveva, almeno verso questo scacchiere, un orientamento. Oggi, invece, appare disorientata, tentennante e perciò si affida all'affarismo spicciolo e alle pacche sulle spalle.
Nel caso specifico della Libia, quella politica estera riuscì a tutelare i legittimi interessi nazionali e a mantenere aperto un canale di dialogo con un regime messo alla gogna.
Strano, però! Fino a quando Gheddafi si è dichiarato estraneo alle pesanti accuse di terrorismo fu mantenuto un durissimo embargo contro la Jamahjriya, quando (nel 2003) si è dichiarato colpevole l'embargo è stato revocato. Come se la dichiarazione di colpevolezza fosse la chiave per
aprire le porte di un club esclusivo.
Viene da chiedersi: come mai ora che, finalmente, si è trovato un terrorista reo confesso invece d'isolarlo si fa la fila per incontrarlo, per contrattare affari miliardari?

La corsa per il controllo delle riserve libiche d'idrocarburi

Una bizzarria non solo etica, ma politica visto che contrasta con l'imperativo categorico della lotta al "terrorismo internazionale" divenuta la bandiera dell'amministrazione Bush e di tanti governi europei, fra cui il nostro.
E' chiaro che tale comportamento si spiega con l'esigenza di assicurarsi i rifornimenti di petrolio e di gas e le lucrose commesse generate dalla parte libica. Così com'è evidente il gioco delle grandi potenze (dalla Russia agli Usa, dalla Francia all'Italia) per accaparrarsi addirittura le enormi riserve libiche d'idrocarburi e la loro commercializzazione.
Perciò la coerenza politica, l'etica vanno a farsi benedire e tutti corrono alla fiera di Tripoli.
A queste priorità sono state piegate i ruoli dei governi e della stessa diplomazia che, ormai, sembrano prendere ordini direttamente dalle multinazionali e dai potentati finanziari.
Dentro questo scenario diventano possibili, e accettabili, le più incredibili acrobazie.
L'ultima, la più clamorosa è la contraddizione - prima rilevata- che non impedisce alla "comunità internazionale" di aprire al regime del colonnello Gheddafi dopo che ha ammesso le sue terribili responsabilità e risarcito le famiglie della vittime.
Più che ad una svolta politica siamo di fronte ad un clamoroso controsenso, giacché l'ammissione della colpa non ne annulla la gravità.
Non siamo nel confessionale!

E' stata detta tutta la verità?

Ma questa confessione ha ristabilito la verità? Nessuno può dirlo. Per il momento, dobbiamo accontentarci di queste verità contrattate, mercificate, monetizzate. Tanto a dollari.
A meno che non venga pubblicamente esplicitato ciò che si sussurra sottobanco o si lascia immaginare: ossia la voce che il regime libico sia stato obbligato ad autoaccusarsi. Da chi? per che cosa?
Anche questo è possibile. Perciò i dirigenti libici hanno il dovere di parlare chiaro, d'informare l'opinione pubblica internazionale e soprattutto coloro che, in buonafede e in assenza di prove convincenti, hanno considerato ingiusto l'embargo, a suo tempo decretato, contro il popolo libico.
Fra i tanti, modestamente anch'io che, come membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei deputati, ho lavorato, con colleghi di diverso orientamento politico, per mitigare gli effetti di un embargo che pareva studiato più per colpire le buone relazioni commerciali
italo-libiche che il regime di Gheddafi.
Il chiarimento è necessario anche per evitare che la nostra buonafede venga scambiata per qualcos'altro. Confesso che le ammissioni di colpevolezza degli esponenti libici hanno suscitato in me amarezza, delusione, oltre che la più decisa condanna. Mi sento ingannato!
Certo, il mio stato d'animo conta poco o nulla, tuttavia un'ultima cosa desidero dirla.
Nella vita tutti possiamo sbagliare. Ma se noi, ignari della verità, abbiamo sbagliato per eccesso di garantismo, i nuovi amici del colonnello stanno sbagliando, consapevolmente, per eccesso di affarismo.

Agostino Spataro

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martedì 9 settembre 2008

7 Settembre 2008: Festeggiamo la fine del neo-liberismo. Con molta attenzione agli effetti.



di Rodolfo Ricci

Non ce lo dicono, non ce lo diranno, faranno di tutto per far finta di niente; ma il 7.7.08 è una data storica: in questo giorno, diciannove anni dopo il crollo del socialismo reale, sette anni dopo il crollo delle torri, è finito ufficialmente il pensiero unico neo-liberista, l’ideologia che ha dominato e controllato il mondo nell’ ultimo trentennio e forse qualcosa di più.

Con la nazionalizzazione dei due mega-istituti di credito ipotecario dai nomi che ricordano vagamente i cartoons, Fannie Mae e Freddie Mac, finisce l’ideologia del libero mercato, quella imposta dentro e fuori i confini degli USA e dell’Europa, fino alle lande più desolate dei continenti della povertà, nei paesi che dovevano essere sottoposti alla ricetta degli “aggiustamenti strutturali” imposte da FMI e Banca Mondiale che null’altro richiedevano se non la progressiva resa dello Stato e della Politica a vantaggio dell’acquisizione delle risorse e dei beni pubblici da parte del libero meccanismo del mercato che tutto regola e tutto decide come una vasta macchina mistica che “regge il sole e l’altre stelle”.


Che il meccanismo naturale del mercato portato al parossismo dagli adepti della scuola di Cicago fosse solo una delle più grandi imposture della storia, lo avevano sperimentato da tempo molte popolazioni del globo; e le innumerevoli gravissime crisi economico-sociali di grandi paesi come il Messico, la Turchia, il Brasile, la Russia, l’Argentina e il permanere nella miseria più nera dei paesi africani ed asiatici che a questa ricetta si sono sottoposte, come ampiamente dimostra Joseph Stiglitz nei suoi lavori, ne davano già ampia dimostrazione.
Ma ciò che è accaduto il 7.7.08 ne costituisce il sugello indiscutibile, poiché proviene da uno dei centri fondamentali dell’economia mondiale e dal governo del paese guida del neo-liberismo.

Già le nazionalizzazioni delle grandi banche inglesi coinvolte nella crisi dei mutui sub-prime ne avevano fornito un precedente, ma la dimensioni dell’operazione della Federal Reserve sugli istituti Fannie Mae e Freddie Mac, vanno al di là di ogni aspettativa: come ricorda Federico Rampini su “La Repubblica” di ieri, l’iniezione di liquidità operata per evitare il fallimento delle due banche e a cascata dell’intero sistema finanziario USA e mondiale, ma soprattutto l’entità dell’assunzione dei rischi che gli USA si assumono con questa operazione è impressionante e non ha precedenti: si tratta di 5.200 miliardi di Dollari, cioè circa 3 volte l’intero PIL italiano e un terzo del PIL USA.
Ciò significa che i cittadini americani, si ritrovano, d’un tratto, con un debito superiore del 30% a quello già abissale del giorno prima. Un debito in mano in gran parte alla Cina, il maggior detentore dei titoli di stato americani.

Cosa accadrà ora?
Intanto è bene notare che, assieme alla fine dell’ideologia neo-liberista, la neo-inaugurazione della procedura di trasferimento delle perdite o dei rischi ai cittadini, (socializzazione dei costi), segue la fase storica della privatizzazione degli utili, in un susseguirsi di momenti che ricalcano i cosiddetti cicli economici: espansione = privatizzazione degli utili, contrazione o recessione = socializzazione delle perdite.

(Ne abbiamo un’ esempio unico nel nostro paese, con l’operazione di “salvataggio” dell’Alitalia del governo Berlusconi, per il quale i due momenti sono addirittura sincronici e in quanto tali disvelano tutta la loro qualità: in una volta sola, si asserisce e si decide come tecnicamente inoppugnabile un’operazione che dà ai privati la possibilità di fare utili e allo Stato e ai cittadini di pagare le perdite passate e future attraverso l’istituzione di “good” and “bad” company).

In entrambi i momenti, a rimetterci sono i lavoratori, nella fase ascendente in quanto viene loro estorto gran parte del valore prodotto, nella fase discendente in quanto vengono loro addebitati i costi e i rischi di produzioni e transazioni: l’obiettivo rimane comunque quello di accrescere o di tutelare e rendere inalterati i patrimoni acquisiti delle classi dirigenti.
L’alternanza tra le due fasi o cicli corrisponde ad altrettanti momenti di lotta di classe nazionale e internazionale con diversa intensità che si succedono comunque dentro i recinti del sistema capitalistico.

Lo Stato e le sue prerogative e funzioni, vengono utilizzate e modificate a seconda della maggiore utilità richiesta nelle due diverse fasi. Altrettanto dicasi per le cosiddette “regole” internazionali che dovrebbero conformare l’azione dei diversi modelli capitalistici nazionali.

Possiamo gioire per la fine di un’ideologia, e quindi del fatto che da oggi in poi, il primo che si alzi a sostenere che l’unica via giusta è quella del lasseiz-faire, può essere tranquillamente mandato a quel paese!
Non possiamo gioire del fatto che ciò venga pagato di nuovo a carissimo prezzo dai lavoratori e dalle classi subalterne!

Inoltre, la storia ci insegna che le conseguenze di una scelta come quella operata il 7 settembre, non resteranno racchiuse dentro i confini degli USA. L’approvvigionamento di capitali e risorse per puntellare un sistema già ampiamente debilitato dalle guerre intraprese negli ultimi due decenni dal paese che aspirava ad inaugurare il nuovo secolo americano, e, parallelamente dai modi in cui è stata sostenuta la fase di sviluppo attraverso l’indebitamento colossale delle famiglie americane (non solo per le case, ma anche per l’acquisto di beni quotidiani attraverso il sistema di credito al consumo, carte di credito, ecc.), la privatizzazione di tutti i beni comuni fino a quelli ambientali, fanno presagire ulteriori effetti a catena e un’ azione di “socializzazione mondiale” dei costi e dei rischi dell’economia americana le cui forme sono al momento difficili da prevedere, ma la cui casistica è storicamente nota.

La variabile nuova è quella per cui il palcoscenico degli attori mondiali è cresciuto e non si limita più alle due sponde dell’atlantico e al sol levante.
L’altra variabile, tutta politica, è quella per la quale una volta riconfermato e riconosciuto il meccanismo tipico del capitalismo, si apre un grande spazio potenziale di azione che potrebbe riportare i lavoratori, le proprie organizzazioni e la complessa moltitudine degli uomini e delle donne del mondo a giocare il proprio ruolo dopo decenni di latitanza o sudditanza all’egemonia neoliberale.

Sapranno e potranno, classi dirigenti allevate in questo trentennio, comprendere e riconoscere la fine di un epoca e l’inizio di una nuova opportunità?
Sarebbe auspicabile, ma se è vero che struttura e sovrastruttura sono due sfere molto compenetrate e che si legittimano vicendevolmente, credo che si vada incontro ad un necessario periodo di transizione e ricostruzione: un new deal generalizzato in cui sono chiamate ad emergere e ad aggregarsi le nuove soggettualità.


Rodolfo Ricci
(Segr. FIEI)

VOTO AI CONCITTADINI IMMIGRATI, BATTAGLIA DI CIVILTA'

VOTO AI CONCITTADINI IMMIGRATI, BATTAGLIA DI CIVILTA'

di Rodolfo Ricci

Nel 2005 titolammo il secondo congresso della FIEI con lo slogan “Migranti, cittadini globali”. Vi era in questa frase, la registrazione di un mutamento epocale delle condizioni della cittadinanza effettiva delle persone nel processo di ricomposizione del capitalismo su scala globale. Ciò che chiamiamo oggi globalizzazione non è altro che il libero dispiegarsi fuori dei vincoli e dei confini nazionali dei processi di produzione e riproduzione del capitale multinazionale; allo stesso tempo, globalizzazione è il processo di mobilità accentuata delle persone attraverso i confini di regioni, paesi e continenti alla ricerca di condizioni migliori di vita; una mobilità richiesta ed incentivata dalle condizioni produttive e riproduttive del capitalismo, al punto che oggi, i sistemi economici di grandi paesi e continenti, come gli USA o l’Europa non potrebbero reggersi senza la forza lavoro di decine di milioni di immigrati.

Ciò è non solo evidente, ma riconosciuto ampiamente dai rappresentanti della grande impresa multinazionale e non; è confermato dai dati statistici per i quali oltre il 6% del PIL italiano deriva dall’apporto dei lavoratori migranti; per i quali sono oggi oltre 20 milioni i cittadini migranti sul suolo europeo, sono oltre 200 milioni i cittadini migranti sull’intero pianeta.
Cittadini migranti che attraverso le loro rimesse costituiscono l’unico concreto elemento di sviluppo dei rispettivi paesi di origine (circa 300 miliardi dollari all’anno di trasferimenti, cifra superiore di cento miliardi al complesso degli IDE, cioè degli investimenti totali provenienti dall’estero verso i paesi in via di sviluppo e i paesi poveri).

Le recenti dure proteste dei leader dei governi latino-americani contro la Direttiva “Ritorno” della UE, che ricordavano il tempo in cui tali paesi hanno accolto decine di milioni di migranti dall’Europa, costituiscono un elemento di chiarezza storica e al tempo stesso un monito a comprendere di cosa stiamo parlando: del futuro dei rapporti nord e sud, del destino stesso del pianeta.

Non può più essere che le merci fluttuino liberamente e le persone siano costrette dai vincoli unilaterali dei paesi del nord; queste condizioni non possono reggere.
Il fallimento dei negoziati di Doha sul commercio internazionale conferma, per altre vie, il raggiungimento di una soglia non più sopportabile.

A globalizzazione dei traffici finanziari e di merci deve corrispondere un nuovo ed adeguato complesso di diritti di cittadinanza per i lavoratori migranti e tutti coloro che si muovono attraverso i confini nazionali.

Il dibattito riaperto finalmente da Veltroni sul voto amministrativo agli immigrati residenti sul nostro territorio, dopo anni di investimento politico –da destra a sinistra- sulla “percezione della sicurezza”, deve costituire un'occasione di ampia mobilitazione per l’affermazione dei diritti di cittadinanza dei migranti e di riflessione sui destini globali e nazionali.
Vale la pena ricordare, a tal proposito, che la mobilità dentro i nostri confini (ovvero i flussi di migrazione interna) hanno nuovamente raggiunto i livelli più alti registrati negli anni ’60-’70: annualmente sono circa 270.000 gli italiani che lasciano le regioni del meridione e si stabiliscono nelle regioni del centro-nord per motivi di lavoro. Nel decennio sono stati oltre mezzo milione i siciliani che hanno lasciato l’isola prevalentemente verso il nord-est del paese.

A fronte di questi dati impressionanti, siamo chiusi dentro una assurda discussione sul federalismo fiscale come toccasana della situazione nazionale, quando è chiaro che il nord del paese continua ad assorbire risorse umane e a produrre ricchezza grazie anche all’enorme salasso di forza lavoro dal sud d’Italia e del mondo.
Allo stesso tempo, la spesa pubblica –in particolare quella sanitaria- del paese viene contenuta grazie all’apporto di oltre un milione di donne immigrate che si occupano di ciò di cui lo Stato non può o non vuole occuparsi: l’assistenza agli anziani e il lavoro riproduttivo nelle famiglie italiane.

Cosa si deve attendere per riconoscere i diritti basilari di partecipazione a questi milioni di concittadini stranieri ?

Quanto al voto, è bene sapere che paesi molto più avanzati del nostro hanno già da tempo riconosciuto il diritto di voto amministrativo a tutti gli stranieri o alle principali comunità etniche immigrate: tra questi la Svezia, la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia, la Spagna, la stessa Inghilterra.
Il 15 Gennaio del 2003 il Parlamento Europeo approvò la risoluzione n. 136 nella quale si raccomandava a tutti gli Stati membri di concedere il voto amministrativo a tutti gli stranieri regolarmente residenti sui rispettivi territori da almeno tre anni e la cittadinanza ai residenti da almeno 5 anni. (Il Congresso FIEI approvò all’unanimità la proposta di introduzione del voto amministrativo e della cittadinanza agli stranieri secondo quanto previsto da questa risoluzione).

Fu sempre nel 2003, in ottobre, che Gianfranco Fini, allora Ministro degli Esteri, si espresse a favore del voto amministrativo durante un convegno al Cnel. Ma lo aveva già fatto il 6 luglio a San Paolo del Brasile, di fronte ad una nutrita platea di connazionali emigrati, paragonando le traversie dell’emigrazione italiana con quelle degli extracomunitari e riconoscendo al Brasile e agli altri paesi latino americani di non essere mai stati xenofobi o razzisti vero i nostri migranti.

“Volevamo braccia e sono arrivati uomini e donne”, l’espressione del grande scrittore svizzero Max Frisch attraversava l’Europa del nord negli anni ’70 ed ’80 e riguardava noi, l’integrazione e il riconoscimento dei diritti degli emigrati italiani e del sud Europa.

Così complicato ricostruire un civile confronto intorno a queste questioni, che non siano le assurde proposte dell’esame di lingua italiana, delle carte dei diritti e dei doveri, ecc. ecc.?
Perché questi esami e queste carte dovrebbero essere sostenuti e sottoscritte per ottenere il diritto di voto o la cittadinanza e non invece all’atto dell’assunzione di un rapporto di lavoro?
Basterebbe riflettere su questo per capire quanta ipocrisia e disonestà intellettuale inquina l’aria di questo nostro paese.

La battaglia politica per il riconoscimento del voto amministrativo –e perché no- europeo, ai concittadini stranieri, è una grande battaglia di civiltà e può costituire un elemento importante di chiarificazione dei destini dell’Italia.
In questo contesto le rappresentanze sociali ed istituzionali degli italiani all’estero possono svolgere una significativa funzione.

Rodolfo Ricci
(Segr. FIEI)