lunedì 14 luglio 2008
Eliminare il MST o il latifondo improduttivo?
Una delle grandi qualità del governo Lula è non criminalizzare i movimenti sociali, repressi dal governo Cardoso anche con truppe militari. Se Lula li trattasse come un fatto di polizia e non di politica starebbe condannando il proprio passato.
Molti ricordano gli scioperi e le manifestazioni operaie guidate dall’attuale presidente della Repubblica nell’ABC paulista; gli elicotteri dell’Esercito volavano sopra lo stadio di Vila Euclides puntando le armi verso l’assemblea dei metalmeccanici; le truppe della PM che assediavano la cattedrale di São Bernardo do Campo, che ospitava i dirigenti operai; le macchine del DEOPS che arrest ava i dirigenti sindacali…
Erano tempi di dittatura. Oggi abbiamo recuperato lo Stato di Diritto, nel quale lo sciopero, le manifestazioni e le rivendicazioni sono diritti assicurati dalla Costituzione Federale. Eccetto che nel Rio Grande del Sud, dove l’arbitrio ancora domina
Nel settembre del 2007, la Brigata Militare, così viene chiamata la Polizia Militare di quello stato, ha tentato di impedire la marcia di tre colonne di senza.terra verso il comune di Coqueiros do Sul. In una relazione consegnata al comandante generale della Brigata Militare, al Pubblico Ministero del RGS e al Pubblico Ministero Federale, il vicecomandante cel. Paulo Roberto Mendes Rodrigues definisce il MST e la Via Campesina come "movimenti criminali".
Nel dicembre del 2007, il Consi glio Superiore del Pubblico Ministero del RGS ha designato una equipe di giudici per “promuovere un’azione civile pubblica tendente alla dissoluzione del MST e alla dichiarazione della sua illegalità”. Quando il Sistema Giudiziario esigerà la fine del latifondo?
Ha deciso anche di “intervenire nelle scuole del MST, per prendere tutte le misure che saranno necessarie per riportarle alla legalità, tanto dal punto di vista pedagogico che della modalità di influenza esterna del MST”. Questa decisione è contraria al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, riconosciuto dal governo brasiliano (Decreto 592, 6/7/92), oltre a non rispettare la Costituzione Federale.
L’11 di marzo di quest’anno, il Pubblico Ministero Federale ha denunc iato otto membri del MST di “far parte di raggruppamenti che hanno come obiettivo quello di modificare lo Stato di Diritto” e ha accusato gli accampamenti del movimento di costituirsi in “Stato parallelo” appoggiato dalle FARC… Questa accusa si scontra con le conclusioni dell’inchiesta penale della Polizia Federale che ha indagato sul MST durante il 2007 e ha concluso che non esistono vincoli del movimento con le FARC e la pratica di crimini contro la sicurezza nazionale.
Il MST è un movimento legittimo che sostiene 150.000 persone accampate sul bordo delle strade, evitando che ingrossino la cintura di favelas delle città. E sostiene il diritto di accesso alla terra di 4 milioni di famiglie che, negli ultimi decenni, sono state espulse dalle campagne a causa dell’espansione del latifondo e dell’agrobusiness e a causa della costruzione di dighe e dell’aumento degli interessi bancari.
Per principio il MST adotta, nelle sue azioni, il metodo della non-violenza, come facevano Gandhi e Luther King (che, tuttavia, subirono analoghe accuse e sono morti assassinati). Le aree occupate sono improduttive o occupate da grileiros che si sono impossessati di terre appartenenti al potere pubblico, come nel caso di molte fazendas del Pontal do Paranapanema (SP).
Il Brasile e l’Argentina sono gli unici paesi delle tre Americhe che non hanno mai fatto una riforma agraria. Il nostro paese è quello che possiede più terre coltivabili nel Continente, circa 600 milioni di ettari, con il 59% del territorio nazionale che è in situazione irregolare, occupato da grileiros, posseiros e latifondisti
Oggi il MST lotta per la democratizzazione della terra, per mettere al primo posto la produzione di alimenti per il mercato interno (120 milioni di potenziali consumatori) attraverso piccole e medie proprietà, perché la terra sia libera dal controllo di imprese transnazionale, garantendo la sovranità alimentare al nostro paese. Un cambiamento sostenibile della struttura fondiaria richiede un nuovo livello tecnologico capace di preservare l’ambiente e impiantare nell’interno del paese agroindustrie in forma di cooperative e facilitare l’accesso all’educazione di qualità.
Non si può ammettere che le terre del Brasile diventino proprietà di stranieri solo perché hanno più soldi. Esse devono restare alla portata delle famiglie beneficiarie della Borsa Famiglia. Così il gover no non dovrà preoccuparsi di aumentargli il mensile. Più che di cibo, cucina a gas e frigorifero, queste famiglie hanno bisogno di essere in condizione di accedere alla terra, perché possano emanciparsi dalla tutela federale e produrre il proprio reddito.
Tutti i diritti di cittadinanza – voto alle donne, legislazione del lavoro, sistema sanitario, pensioni – sono stati conquistati dai movimenti sociali. E la storia di tutti loro, in qualsiasi paese o epoca, non è stata diversa da quel che oggi affronta il MST: incomprensioni, persecuzioni, massacri e omicidi (Eldorado dos Carajás, Dorothy Stang, Chico Mendes) etc. Se il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza, quello della democrazia è socializzare il potere, evitando che sia privilegio di una casta o classe.
sabato 12 luglio 2008
Tito Pulsinelli: Europa sin autonomía ni dignidad
www.selvasorg.blogspot.com
Tito Pulsinelli
Aumenta el precio del petróleo y de los cereales, se hunde el dólar. ¿De quién es la culpa? Al unísono, la mega-máquina mediáti ca dictamina: es el egoísmo de los países productores de petróleo que se rehúsan a abrir las llaves de un recurso que se está agotando. La dinámica es otra: se desploma el dólar y suben los precios de los granos, maíz y arroz. ¿Por qué?
Sólo Estados Unidos puede emitir libremente la cantidad de dólares que considera oportuna. Más allá de cualquier control, no hay cobertura en oro, ni el respaldo de una economía ya viuda de crecimiento y expansión, esposa polígama del endeudamiento interior y exterior.
La especulación de los "futures" es el verdadero elemento de perversión y de explosión de los precios. ¿Por qué?
El reglamento del "Commodity Future Trading Commission" del gobierno de Estados Unidos, permite unos contratos en el Nymex anticipando sólo el 6% de una provisión petrolera. Luego está el endeudamiento, se solicita un préstamo y con éste se paga el resto de la factura.
Con el barril a 128 dólares, el especulador debe disponer sólo de 8 dólares por barril, los demás 120 los busca en otras partes y los consumidores pagan los onerosos intereses correspondientes. Este poder excepcional de casta, el llamado "16 por 1", hace gravitar inevitablemente los costos y representa cerca del 60% del precio del barril, trasladado totalmente a los consumidores[1] .
Hasta ahora la Bolsa de Nueva York y la de Londres eran dueñas absolutas de la producción mundial de los hidrocarburos, porque pagaban con una moneda que era desvinculada de todo y que – actualmente – se devalúa al ritmo del 30% anual.
El famoso shock petrolero de 1972 fue provocado por una devaluación del 40% del dólar frente al marco alemán. Una simple influencia respecto al actual infarto de una devaluación simultánea en relación a todas las demás divisas, así como el oro, plata y materias primas y cereales.
Ahora impera una terrible ecuación: el 1% de devaluación del dólar determina automáticamente un aumento de 4 dólares por barril. Viceversa, si el dólar se reevaluara del 10%, el petróleo disminuiría de 40 dólares. Es increíble pero cierto.
¿Cuánta gasolina, nafta, aceites, lubricantes y otros derivados se recaban de un barril de petróleo? Es un secreto muy bien protegido por las transnacionales, que los políticos se callan. Hay quien sostiene que se obtienen 135 litros de carburante, otros dicen que serían 85, pero todos concuerdan que la parte más suculenta estaría en las ganancias que se generan por los innumerables derivados.
Finalmente, la soga del 65% de impuestos que la zona-euro aplica a los consumidores de combustibles: un impuesto cobrado por las gasolineras, donde no se diferencian los ingresos y el estatus social de los consumidores.
Si dos más dos diera cuatro, los consumidores deberían actuar contra la exagerada extorsión fiscal de la Unión Europea y la avidez desmesurada de las compañías petroleras que – hasta demostrar lo contrario – son las que están haciendo los mejores negocios con el encarecimiento del petróleo.
La política del "com pro petróleo de papel hoy y vendo el próximo año" es una apuesta a favor del encarecimiento continuo de los hidrocarburos. Irán dice que la Exxon y Washington están almacenando ingentes recursos financieros para poder echar mano del subsuelo de Alaska, es decir iniciar perforaciones de gran complejidad que requieren volúmenes de capitales elevados.
El tiempo acota, dentro de nueve años los Estados Unidos no tendrán ninguna producción interna. Se queda Alaska, la anexión-apropiación (o privatización) de los yacimientos mexicanos en el Golfo de México, el petróleo africano que sustraer a China o la manu militari contra Venezuela.
Está claro que todo esto se refleja en mayores costos en el sector agrícola. Sin embargo, ¿cómo es posible explicar los precios del arroz cuadruplicados en los Estados Unidos y la limitaci&oacut e;n de las cantidades adquiribles en los supermercados? El costo de los abonos no se ha multiplicado por cuatro. Además, considerando la devaluación galopante, el actual precio del petróleo equivale al valor real de cerca de 100 dólares en 2007.
Por todas partes ha sido señalado que los agro-combustibles no son más que alimentos sustraídos a las bocas y empleados en los motores. Brasil y Estados Unidos pasan por alto el asunto y aumentan las superficies fértiles destinadas al etanol. Bush y la Unión Europea confirman las subvenciones a la agroindustria, aun cuando ya no produce alimentos para uso comestible, pero se oponen a cualquier intervención a favor de los consumidores y al control de los precios.
No merece muchos comentarios el cinismo de quien pone en tela de juicio a los nuevos "irresponsables" consumos alimenticios de China e India. ¿Qué deberían hacer con sus nuevas ganancias? ¿Sólo comprar videojuegos y teléfonos celulares?
El aumento hiperbólico de la comida es la respuesta salvaje del sistema bancario y de las trasnacionales "occidentales" al incremento de los precios de las materias primas.
Recuperan con los cereales lo que perdieron con las nacionalizaciones de los yacimientos en Irán, Rusia, Venezuela, Bolivia, Ecuador y con la inconclusa depredación de los pozos iraquíes.
La casta financiera del mundo industrializado apunta a neutralizar el regreso de los Estados a cuestiones vitales como la regulación de la oferta, control de precios, limitaciones a las exportaciones para priorizar el consumo interno de los países productores.
Quieren recuperar el terreno estratégico perdido y acelerar la acumulaci&oacut e;n de excedentes financieros con una especulación sin límites. Y si hay que desnutrir y matar de hambre, no hay problema: el mercado es libre y soberano, todo lo demás es vulgar demagogia "populista".
En este siniestro panorama aflora una sola evidencia: el dólar ya no puede desarrollar la función reguladora de los intercambios mundiales. Se ha vuelto un factor multiplicador de volatilidad e incertidumbre. La cordura impondría que el primer paso sensato sería hacerlo a un lado y remplazarlo con una canasta de monedas. En cambio, la Unión Europea parece olvidarse que cuenta con un instrumento denominado 'euro'.
Desde mayo de 2008 Irán empezó a firmar contratos de gas y petróleo con los precios establecidos sólo en euros. Es comprensible que este hecho no le agrade a Washington, pero consterna la conducta masoquista de la Comisión de Bruselas. Suiza, en cambio, acaba de firmar un contrato con Irán, y un gaseoducto convoyará directamente los abastecimientos de los próximos veinte años.
Parece ser que la respuesta a la dependencia energética, que es un hecho real –dado que el buen dios ha posicionado los recursos energéticos en las tierras de los infieles, de los "populistas" o de los "poco democráticos"- es la de flanquear a los extremistas del otro lado del océano, en la reconquista de la energía y de los minerales con los argumentos marciales de la OTAN.
La Europa de los "cinco indicadores macroeconómicos" como únicas tablas de la ley, confinada por los banqueros ce ntrales al restringido perímetro de mercado y moneda, sin una política exterior coherente y creíble, sin un proyecto geopolítico autónomo y soberano, está destinada a ser subalterna. Es demográficamente vieja, sobre-poblada, sin materias primas, sin fuentes propias de energía y bastante contaminada.
Sacrificará ingentes recursos a las tecnologías militares, invertidas en un aparato bélico en el cual no ejercerá un efectivo control, ya que está bajo el control real de los Estados Unidos. Al servicio de su política internacional, que apenas puede tolerar el bloque europeo como gigante económico, pero a la condición definitiva de enano geopolítico sin tracción propia.
No basta haber sacrificado el histórico y peculiar contrato social y el equipamiento del Estado del welfare, ahora la Europa de las finanzas ha decidido endurecer aún más su estructura interna.
La criminalización de la estancia no autorizada y el aumento a 65 horas del tiempo de trabajo exigible a los asalariados, sólo son una pequeña entrada del nuevo menú de la carestía.
Explotar de inmediato hasta el tuétano los braceros extranjeros, luego los asalariados con regular documento de identidad, mientras los infortunios en el trabajo han regresado a los niveles de la posguerra. ¿Cuándo volverá el trabajo infantil y a destajo?
La impalpable "democracia representativa" está dejando carta blanca a los gobiernos que deben sufragar con el autoritarismo al declinante consenso, al crecimiento cero estable, preámbulo a la caída del modelo de desarrollo seguido hasta ahora y de los mitos globalis tas.
En el nuevo escenario del multipolarismo, la renuncia a un papel geopolítico autónomo, proporcionado a la jerarquía de su economía, condena Europa a permanecer como tercera costa de Estados Unidos, aun cuando está francamente en declive.
Mientras que el centro de gravedad se disloca entre el Pacífico y el Sur, el G8 insiste en auto-representarse con un estatus ficticio. Ignoran lo nuevo que ya ha salido a flote: la jerarquía real de India, China, Brasil y Rusia.
No se trata sólo de economías crecientes, de PIB, son en todos los sentidos los nuevos actores globales sentados alrededor de la mesa del multipolarismo, en la que la Unión Europea se rehúsa a sentarse con una identidad definida, y así no contribuye al nuevo equilibrio internacional, ni a alejar el espectro de la guerra.
La UE es rehén del permanente boicot británico y del ultranacionalismo de Polonia. Por el atávico sueño de dominar desde el Mar Báltico hasta el Mar Negro, Varsovia complace a Washington como vasallo perfecto: militariza, desestabiliza, concede bases y se presta para construir una barrera con Eurasia. Es decir, el horizonte del nuevo eje de poder emergente.
¿Acaso alguien recuerda a Jacques Delors? Perdió el partido contra los adeptos autoritarios de los "cinco indicadores macroeconómicos" como única brújula. Su propuesta de Europa "a dos velocidades" ha cedido el paso a la Europa-matrioska.
Hoy es un contenedor que encierra a su interior diversas cosas: la OTAN, luego los vasallos bálticos que aspiran a un papel de "OTAN en la OTAN", y finalmente la oposición permanente guiada por Londres, que amena za una "Unión europea en la UE".
Los fundamentalistas de Bush han fracasado en todo –al interior e internacionalmente- pero el único balance positivo pueden presumirlo con Europa, donde han dado continuidad a las políticas de Kissinger y Brzezinski. ¿Después del histórico, desastroso balance de "Estados Unidos contra todos", de "o conmigo o contra de mí", asistiremos al relanzamiento de su versión corregida y actualizada en "OTAN contra todos?
Traducción Clara Ferri
[1] www.oulala.net/Portail/breve.php3?d_breve=1507
Intervento dell’On. Franco Narducci alla Camera sul DL "Sicurezza"
misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.
Intervento nella discussione generale dell'On. Franco Narducci
Mi sono iscritto a parlare nella discussione generale sul decreto-legge in esame mosso dalla sensibilità che mi deriva dall'aver condiviso, da oltre trenta anni, con migliaia di nostri connazionali le battaglie per i diritti più elementari, per la dignità delle condizioni abitative, per l'integrazione sociale e professionale nel paese di accoglienza, per il successo scolastico dei figli degli italiani e contro ogni forma di marginalizzazione legate alla condizione di migrante.
E insieme a tantissimi connazionali ho lottato contro le innumerevoli forme di categorizzazione e di luoghi comuni che hanno accompagnato milioni di italiani in ogni parte del mondo. Da una indagine condotta dalla Dante Alighieri qualche anno fa negli Stati Uniti d'America è emerso che, nonostante la nostra presenza in quel grande Paese abbia superato il secolo, agli italiani si associano ancora stereotipi come pizza, spaghetti, mafia e mandolini.
Anche così, Signor Presidente, si creano le condizioni per timbrare un popolo o un gruppo etnico; e per alimentare quel sentimento di avversione che si chiama razzismo, un sentimento tragico che spesso diventa paura, paura del diverso. Tante volte nella storia il diverso è diventato il capro espiatorio di situazioni che hanno una radice ben diversa e dovrebbero essere affrontate con ben altre linee d'azione politica. Io credo che un provvedimento come quello in esame debba necessariamente suscitare una riflessione sul fenomeno dell'emigrazione di massa che ha caratterizzato la storia del nostro Paese e della diaspora italiana nel mondo: 27 milioni di italiani e di italiane hanno lasciato la nostra nazione nell'arco di un secolo, spesso su piroscafi fatiscenti e pericolosissimi che evocano le imbarcazioni cariche di disperati che oggi attraversano il mediterraneo.
Possiamo dimenticare le grandi tragedie del mare e del lavoro, le malattie e gli stenti che hanno accompagnato gli italiani nel loro percorso di emigrazione? Io credo di no e lo dico non per il "solito buonismo di centrosinistra" che il centrodestra agita come accusa nei nostri confronti, ma perché sono profondamente convinto che la memoria storica di un popolo rappresenti una linea guida di alto valore.
E con la stessa convinzione voglio sottolineare che il tema dell'ordine e della sicurezza pubblica è una priorità assoluta del Partito Democratico e sicuramente lo è per tutte le forze politiche, perché tocca aspetti complessi e diritti fondamentali e inalienabili della persona umana. L'esperienza insegna che la legalità è il migliore antidoto contro la discriminazione e contro la criminalizzazione di gruppo. Il problema non è la durezza della lotta all'illegalità, ma la capacità di accogliere l'immigrato che ha voglia di inserirsi e per far questo e facilitarne il percorso di integrazione, la legalità e la certezza del diritto sono fondamentali in un rapporto di reciprocità.
Non possiamo far finta di ignorare che il provvedimento in esame ha indotto un dibattito acceso sui canali mediatici e tra la gente ancor prima che ne fosse noto il portato e gli obiettivi perseguiti. Non possiamo dimenticare che il decreto sicurezza è stato partorito come una strategia di marketing dei prodotti di consumo che, come afferma Zygmunt Bauman, vede nell'incolumità personale uno dei principali argomenti di vendita. La ratio che è all'origine di questo decreto-legge è quella che porta a cercare il consenso e la legittimazione politica facendo perno sulle paure dei cittadini fomentandole prima mediaticamente e poi dichiarando guerra a ciò che turba l'ordine pubblico senza affrontare le questioni in maniera sistematica ed andare alle radici del problema.
Con questo decreto e con quelli legati al cosiddetto pacchetto sicurezza il Governo interviene legislativamente su aspetti estremamente delicati come i ricongiungimenti familiari, la libera circolazione delle persone appartenenti agli Stati comunitari e al diritto d'asilo e lo fa capovolgendo la linea adottata dal Governo Prodi, fortemente aderente alle politiche e alle direttive comunitarie. Ebbene, i provvedimenti normativi succitati non possono essere varati inviando al mondo l'impressione di un paese che opera sotto l'effetto di una spinta xenofoba, come sempre più spesso accade nelle nostre città e qualche volta anche in quest'aula.
L'immigrazione, oggi è una questione europea. E deve essere trattata come tale se vogliamo vagamente sentirci cittadini di quella seconda Patria senza la quale la nostra influenza nel mondo globalizzato sarebbe irrilevante.
Le questioni legate alle politiche migratorie sono l'argomento forse più utilizzato dai partiti antieuropei, perché è quello che più li lega intrinsecamente al loro elettorato. Per cui si può desumere che vi è un legame stretto tra atteggiamento antieuropeista e visione xenofoba della società. E male fa l'Italia a non seguire i consigli che arrivano da Bruxelles in questi giorni, con cui si chiede al Governo italiano di aspettare la valutazione della Commissione europea prima di procedere alla raccolta ed utilizzazione dei rilievi dattiloscopici dei Rom, compresi i minori, poiché potrebbe costituire discriminazione su base etnica. Pare un consiglio saggio ma il Ministro Maroni non vuole ascoltare, anzi s'indigna e dice che lui non scheda i Rom ma fa solo un censimento dei campi nomadi che giustamente vanno censiti, ma come e con quali metodi? Sicuramente non con la schedatura indiscriminata di chi nei campi vive. Forse per le operazioni già avviate si sono utilizzati i mediatori culturali? Forse in linea con la risoluzione sulla discriminazione nei confronti dei Rom del Parlamento europeo del settembre 1995?
Ma se siamo cittadini europei, dovremmo avere ben chiaro l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alla quale il nostro Paese ha dato un grande contributo di cultura democratica e di civiltà del diritto, e che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, sulla razza o l'origine etnica o sociale.
Signor Presidente, le statistiche ci dicono che nel 2007 nel nostro Paese sono stati commessi 2.900.000 reati, con un aumento del 5% nel paragone con il 2006. Le stesse statistiche recano tuttavia un messaggio incoraggiante rappresentato da un dato controtendenza: nelle 14 città che hanno firmato i Protocolli per la sicurezza tra il Governo e le amministrazioni locali, nel secondo semestre 2007 si registra un sostanziale miglioramento rispetto al primo semestre, a riprova che esistono buoni strumenti per combattere l'insicurezza, uscendo da quella cultura emergenziale che in Italia si è affermata come la risposta più rapida e ultimativa a problemi che invece richiedono un'applicazione costante, al di fuori del "carosello giudiziario" che ad ogni situazione critica fa corrispondere l'emanazione di nuove norme.
A cosa serve allora l'esercito nelle nostre città, che anziché diminuire la paura l'accresce? A me pare che abbiano ragione le forze di polizia quando dicono "no all'uso dell'esercito per contrastare la criminalità". Cosa può infatti aggiungere l'esercito in termini di prevenzione, visto anche l'armamento inadatto ad essere usato nei centri abitati? Non si capisce come il Ministro dell'Interno sottovaluti l'impressione di "una sorta di ingeneroso commissariamento delle forze di polizia" che hanno conseguito brillanti risultati contro la criminalità, pagando anche un prezzo alto in termini di vittime.
In precedenza l'On. Santelli ha richiamato l'operazione di qualche anno fa denominata «Vespri siciliani», quando i militari furono inviati subito dopo le stragi a presidiare il territorio contro la mafia, con la funzione di recuperare l'immagine compromessa dello Stato nella lotta contro Cosa nostra, ma occorre ricordare che l'operazione fu assolutamente inutile sotto il profilo dell'ordine pubblico. Il Ministro Maroni dovrebbe opporsi con forza al pesante taglio di un miliardo di euro sul bilancio del proprio dicastero, che si tradurrà in meno uomini e mezzi per la polizia, anziché investire risorse finanziarie in una operazione che comporta tra l'altro il rischio di militarizzazione delle forze di polizia.
L'Italia che per oltre un secolo e mezzo ha vissuto il fenomeno dell'emigrazione di massa è ora essa stessa Paese d'immigrazione. L'Italia sa che l'immigrazione può essere un'emergenza ma è soprattutto un dato strutturale del nostro sistema economico e produttivo, che richiede risposte istituzionali per risolvere problemi fondamentali come quello dell'accoglienza, dell'inserimento sociale e occupazionale, dell'accesso all'abitazione e ai servizi territoriali, della scolarizzazione dei figli degli immigrati. Occorrono soluzioni giuste e urgenti per i suddetti aspetti, che rivestono carattere basilare in ogni politica dell'immigrazione. Cosa dire allora delle risorse sottratte dal decreto n. 93 al fondo per l'inclusione sociale degli immigrati che è stato praticamente azzerato. Io vorrei invitare tutti a riflettere a fondo su questa scelta che reputo pericolosa.
Non a caso, fin dagli anni Ottanta del secolo scorso un grande sociologo come Ralf Dahrendorf aveva indicato come uno dei rischi maggiori del mondo contemporaneo il dissolvimento del vincolo sociale, che produce anomia, la quale a sua volta costituisce un grave pericolo per la democrazia in quanto crea masse di persone indifferenti rispetto a tutto ciò che trascende l'orizzonte quotidiano.
Ovviamente l'immigrazione irregolare va contrastata in tutti i modi, anche perché, per comprensibili motivi, è fra gli irregolari che si formano quelle sacche di devianza che sfocia, spesso, nella vera e propria criminalità. Ma non deve sfuggire che l'immigrazione irregolare è causata dalla scarsa capacità di gestione del fenomeno e dalla mancanza di possibilità di accesso regolare in Italia.
L'aggravante della pena introdotta nell'art. 5 di questo decreto-legge per i reati commessi da coloro che vivono in regime di clandestinità sul nostro territorio è l'anticamera del reato di immigrazione clandestina ed è in violazione dell'art. 3 della Costituzione poiché riguarda non un comportamento del reo, ma una condizione personale. Si rischia così di introdurre elementi discriminatori tra soggetti che commettono lo stesso reato.
Introdurre nell'ordinamento il reato di immigrazione clandestina contrasta con i principi enunciati nei trattati internazionali a tutela della dignità e dei diritti della persona umana, e, qualora introdotto nel nostro Paese, obbligherebbe l'apparato giudiziario, di pubblica sicurezza e penitenziario ad essere oberato di procedimenti che avrebbero come unico scopo quello di stabilire se gli oltre 700.000 immigrati irregolari che sono in Italia sono entrati legalmente o meno.
Se si vuole operare efficacemente occorre agire su due versanti. Da un lato l'immigrazione regolare va promossa e vanno modificate quelle norme assurde della legge Bossi-Fini che rendono più difficile entrare nel nostro Paese per lavorare onestamente. Su questo aspetto l'audizione del Capo della Polizia ha chiarito che il 90 per cento degli immigrati irregolari entrano in Italia con un permesso di turismo, lo lasciano scadere e poi si trattengono per cercare lavoro. È evidente allora che occorre allungare i termini dei permessi di soggiorno per ragioni lavorative, va introdotta anche la possibilità del permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro e vanno dati pieni diritti di cittadinanza agli immigrati regolari. Sul versante della repressione, occorre agire con durezza su quella fascia di immigrazione clandestina che delinque e che rifiuta di declinare le proprie generalità per sfuggire ad uno o più decreti di espulsione.
Combattere l'immigrazione clandestina significa anche combattere, Signor Presidente, il lavoro nero che è sicuramente il più duro da sconfiggere, soprattutto quando è caricato indebitamente, come accade in Italia, di significati economici che fanno pensare alla sua tolleranza, collocandolo di volta in volta nella sfera "dell'economia sommersa" o della disarticolazione del mercato del lavoro. Sappiamo bene, infatti, che il fenomeno pone in primo piano il coinvolgimento della manodopera straniera e i settori d'attività dove questa piaga è particolarmente estesa sono l'agricoltura, l'edilizia e il turismo, aree lavorative che tradizionalmente occupano forza lavoro straniera.
Il migliore deterrente contro la criminalità legata ai cittadini immigrati nel nostro Paese è stato già detto è l'integrazione in particolare la scuola, che è un potente motore d'integrazione: se cominciamo oggi, fra qualche anno anche i bimbi rom saranno a tutti gli effetti integrati.
Giovanni Scalabrini riproponendo anche le sue testimonianze, il suo impegno instancabile per gli emigrati - "i figli della miseria e del lavoro" come li definì in un discorso a Ferrara - sosteneva che per rafforzare il radicamento e i legami bisogna promuovere la cultura e l'impegno sociale, perché l'abbandono a se stessi è il peggior nemico dell'integrazione e della costruzione di una dignità riconosciuta dalla società di accoglimento.
Non a caso, fin dagli anni ottanta del secolo scorso un grande sociologo come Ralf Dahrendorf aveva indicato come uno dei rischi maggiori del mondo contemporaneo il dissolvimento del vincolo sociale, che produce anomia, la quale a sua volta costituisce un grave pericolo per la democrazia in quanto crea masse di persone indifferenti rispetto a tutto ciò che trascende l'orizzonte quotidiano.
Signor Presidente, non bisogna lasciarsi andare a misure frettolose e provvisorie per dare l'impressione di gestire l'immediato ma bisogna avviare una riflessione nella società per capire che modello sociale vogliamo realizzare per il futuro, se costruire una società dove la comunità ha un valore oppure se privilegiare il singolo, se vogliamo costruire un percorso di sviluppo che si basa sull'integrazione oppure se si ferma alla repressione. Per fare questo bisogna fermarsi e studiare le situazione per capire le priorità; solo così si potrà affrontare il problema in maniera organica e far sentire al cittadino la presenza di uno Stato amico.