sabato 12 luglio 2008

Intervento dell’On. Franco Narducci alla Camera sul DL "Sicurezza"

Conversione il legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante
misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.

Intervento nella discussione generale dell'On. Franco Narducci

Signor Presidente, Signor Rappresentante del Governo, Onorevoli Colleghi,
Mi sono iscritto a parlare nella discussione generale sul decreto-legge in esame mosso dalla sensibilità che mi deriva dall'aver condiviso, da oltre trenta anni, con migliaia di nostri connazionali le battaglie per i diritti più elementari, per la dignità delle condizioni abitative, per l'integrazione sociale e professionale nel paese di accoglienza, per il successo scolastico dei figli degli italiani e contro ogni forma di marginalizzazione legate alla condizione di migrante.

E insieme a tantissimi connazionali ho lottato contro le innumerevoli forme di categorizzazione e di luoghi comuni che hanno accompagnato milioni di italiani in ogni parte del mondo. Da una indagine condotta dalla Dante Alighieri qualche anno fa negli Stati Uniti d'America è emerso che, nonostante la nostra presenza in quel grande Paese abbia superato il secolo, agli italiani si associano ancora stereotipi come pizza, spaghetti, mafia e mandolini.
Anche così, Signor Presidente, si creano le condizioni per timbrare un popolo o un gruppo etnico; e per alimentare quel sentimento di avversione che si chiama razzismo, un sentimento tragico che spesso diventa paura, paura del diverso. Tante volte nella storia il diverso è diventato il capro espiatorio di situazioni che hanno una radice ben diversa e dovrebbero essere affrontate con ben altre linee d'azione politica. Io credo che un provvedimento come quello in esame debba necessariamente suscitare una riflessione sul fenomeno dell'emigrazione di massa che ha caratterizzato la storia del nostro Paese e della diaspora italiana nel mondo: 27 milioni di italiani e di italiane hanno lasciato la nostra nazione nell'arco di un secolo, spesso su piroscafi fatiscenti e pericolosissimi che evocano le imbarcazioni cariche di disperati che oggi attraversano il mediterraneo.

Possiamo dimenticare le grandi tragedie del mare e del lavoro, le malattie e gli stenti che hanno accompagnato gli italiani nel loro percorso di emigrazione? Io credo di no e lo dico non per il "solito buonismo di centrosinistra" che il centrodestra agita come accusa nei nostri confronti, ma perché sono profondamente convinto che la memoria storica di un popolo rappresenti una linea guida di alto valore.
E con la stessa convinzione voglio sottolineare che il tema dell'ordine e della sicurezza pubblica è una priorità assoluta del Partito Democratico e sicuramente lo è per tutte le forze politiche, perché tocca aspetti complessi e diritti fondamentali e inalienabili della persona umana. L'esperienza insegna che la legalità è il migliore antidoto contro la discriminazione e contro la criminalizzazione di gruppo. Il problema non è la durezza della lotta all'illegalità, ma la capacità di accogliere l'immigrato che ha voglia di inserirsi e per far questo e facilitarne il percorso di integrazione, la legalità e la certezza del diritto sono fondamentali in un rapporto di reciprocità.

Non possiamo far finta di ignorare che il provvedimento in esame ha indotto un dibattito acceso sui canali mediatici e tra la gente ancor prima che ne fosse noto il portato e gli obiettivi perseguiti. Non possiamo dimenticare che il decreto sicurezza è stato partorito come una strategia di marketing dei prodotti di consumo che, come afferma Zygmunt Bauman, vede nell'incolumità personale uno dei principali argomenti di vendita. La ratio che è all'origine di questo decreto-legge è quella che porta a cercare il consenso e la legittimazione politica facendo perno sulle paure dei cittadini fomentandole prima mediaticamente e poi dichiarando guerra a ciò che turba l'ordine pubblico senza affrontare le questioni in maniera sistematica ed andare alle radici del problema.

Con questo decreto e con quelli legati al cosiddetto pacchetto sicurezza il Governo interviene legislativamente su aspetti estremamente delicati come i ricongiungimenti familiari, la libera circolazione delle persone appartenenti agli Stati comunitari e al diritto d'asilo e lo fa capovolgendo la linea adottata dal Governo Prodi, fortemente aderente alle politiche e alle direttive comunitarie. Ebbene, i provvedimenti normativi succitati non possono essere varati inviando al mondo l'impressione di un paese che opera sotto l'effetto di una spinta xenofoba, come sempre più spesso accade nelle nostre città e qualche volta anche in quest'aula.

L'immigrazione, oggi è una questione europea. E deve essere trattata come tale se vogliamo vagamente sentirci cittadini di quella seconda Patria senza la quale la nostra influenza nel mondo globalizzato sarebbe irrilevante.
Le questioni legate alle politiche migratorie sono l'argomento forse più utilizzato dai partiti antieuropei, perché è quello che più li lega intrinsecamente al loro elettorato. Per cui si può desumere che vi è un legame stretto tra atteggiamento antieuropeista e visione xenofoba della società. E male fa l'Italia a non seguire i consigli che arrivano da Bruxelles in questi giorni, con cui si chiede al Governo italiano di aspettare la valutazione della Commissione europea prima di procedere alla raccolta ed utilizzazione dei rilievi dattiloscopici dei Rom, compresi i minori, poiché potrebbe costituire discriminazione su base etnica. Pare un consiglio saggio ma il Ministro Maroni non vuole ascoltare, anzi s'indigna e dice che lui non scheda i Rom ma fa solo un censimento dei campi nomadi che giustamente vanno censiti, ma come e con quali metodi? Sicuramente non con la schedatura indiscriminata di chi nei campi vive. Forse per le operazioni già avviate si sono utilizzati i mediatori culturali? Forse in linea con la risoluzione sulla discriminazione nei confronti dei Rom del Parlamento europeo del settembre 1995?

Ma se siamo cittadini europei, dovremmo avere ben chiaro l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alla quale il nostro Paese ha dato un grande contributo di cultura democratica e di civiltà del diritto, e che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, sulla razza o l'origine etnica o sociale.
Signor Presidente, le statistiche ci dicono che nel 2007 nel nostro Paese sono stati commessi 2.900.000 reati, con un aumento del 5% nel paragone con il 2006. Le stesse statistiche recano tuttavia un messaggio incoraggiante rappresentato da un dato controtendenza: nelle 14 città che hanno firmato i Protocolli per la sicurezza tra il Governo e le amministrazioni locali, nel secondo semestre 2007 si registra un sostanziale miglioramento rispetto al primo semestre, a riprova che esistono buoni strumenti per combattere l'insicurezza, uscendo da quella cultura emergenziale che in Italia si è affermata come la risposta più rapida e ultimativa a problemi che invece richiedono un'applicazione costante, al di fuori del "carosello giudiziario" che ad ogni situazione critica fa corrispondere l'emanazione di nuove norme.

A cosa serve allora l'esercito nelle nostre città, che anziché diminuire la paura l'accresce? A me pare che abbiano ragione le forze di polizia quando dicono "no all'uso dell'esercito per contrastare la criminalità". Cosa può infatti aggiungere l'esercito in termini di prevenzione, visto anche l'armamento inadatto ad essere usato nei centri abitati? Non si capisce come il Ministro dell'Interno sottovaluti l'impressione di "una sorta di ingeneroso commissariamento delle forze di polizia" che hanno conseguito brillanti risultati contro la criminalità, pagando anche un prezzo alto in termini di vittime.

In precedenza l'On. Santelli ha richiamato l'operazione di qualche anno fa denominata «Vespri siciliani», quando i militari furono inviati subito dopo le stragi a presidiare il territorio contro la mafia, con la funzione di recuperare l'immagine compromessa dello Stato nella lotta contro Cosa nostra, ma occorre ricordare che l'operazione fu assolutamente inutile sotto il profilo dell'ordine pubblico. Il Ministro Maroni dovrebbe opporsi con forza al pesante taglio di un miliardo di euro sul bilancio del proprio dicastero, che si tradurrà in meno uomini e mezzi per la polizia, anziché investire risorse finanziarie in una operazione che comporta tra l'altro il rischio di militarizzazione delle forze di polizia.

L'Italia che per oltre un secolo e mezzo ha vissuto il fenomeno dell'emigrazione di massa è ora essa stessa Paese d'immigrazione. L'Italia sa che l'immigrazione può essere un'emergenza ma è soprattutto un dato strutturale del nostro sistema economico e produttivo, che richiede risposte istituzionali per risolvere problemi fondamentali come quello dell'accoglienza, dell'inserimento sociale e occupazionale, dell'accesso all'abitazione e ai servizi territoriali, della scolarizzazione dei figli degli immigrati. Occorrono soluzioni giuste e urgenti per i suddetti aspetti, che rivestono carattere basilare in ogni politica dell'immigrazione. Cosa dire allora delle risorse sottratte dal decreto n. 93 al fondo per l'inclusione sociale degli immigrati che è stato praticamente azzerato. Io vorrei invitare tutti a riflettere a fondo su questa scelta che reputo pericolosa.

Non a caso, fin dagli anni Ottanta del secolo scorso un grande sociologo come Ralf Dahrendorf aveva indicato come uno dei rischi maggiori del mondo contemporaneo il dissolvimento del vincolo sociale, che produce anomia, la quale a sua volta costituisce un grave pericolo per la democrazia in quanto crea masse di persone indifferenti rispetto a tutto ciò che trascende l'orizzonte quotidiano.
Ovviamente l'immigrazione irregolare va contrastata in tutti i modi, anche perché, per comprensibili motivi, è fra gli irregolari che si formano quelle sacche di devianza che sfocia, spesso, nella vera e propria criminalità. Ma non deve sfuggire che l'immigrazione irregolare è causata dalla scarsa capacità di gestione del fenomeno e dalla mancanza di possibilità di accesso regolare in Italia.

L'aggravante della pena introdotta nell'art. 5 di questo decreto-legge per i reati commessi da coloro che vivono in regime di clandestinità sul nostro territorio è l'anticamera del reato di immigrazione clandestina ed è in violazione dell'art. 3 della Costituzione poiché riguarda non un comportamento del reo, ma una condizione personale. Si rischia così di introdurre elementi discriminatori tra soggetti che commettono lo stesso reato.
Introdurre nell'ordinamento il reato di immigrazione clandestina contrasta con i principi enunciati nei trattati internazionali a tutela della dignità e dei diritti della persona umana, e, qualora introdotto nel nostro Paese, obbligherebbe l'apparato giudiziario, di pubblica sicurezza e penitenziario ad essere oberato di procedimenti che avrebbero come unico scopo quello di stabilire se gli oltre 700.000 immigrati irregolari che sono in Italia sono entrati legalmente o meno.

Se si vuole operare efficacemente occorre agire su due versanti. Da un lato l'immigrazione regolare va promossa e vanno modificate quelle norme assurde della legge Bossi-Fini che rendono più difficile entrare nel nostro Paese per lavorare onestamente. Su questo aspetto l'audizione del Capo della Polizia ha chiarito che il 90 per cento degli immigrati irregolari entrano in Italia con un permesso di turismo, lo lasciano scadere e poi si trattengono per cercare lavoro. È evidente allora che occorre allungare i termini dei permessi di soggiorno per ragioni lavorative, va introdotta anche la possibilità del permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro e vanno dati pieni diritti di cittadinanza agli immigrati regolari. Sul versante della repressione, occorre agire con durezza su quella fascia di immigrazione clandestina che delinque e che rifiuta di declinare le proprie generalità per sfuggire ad uno o più decreti di espulsione.

Combattere l'immigrazione clandestina significa anche combattere, Signor Presidente, il lavoro nero che è sicuramente il più duro da sconfiggere, soprattutto quando è caricato indebitamente, come accade in Italia, di significati economici che fanno pensare alla sua tolleranza, collocandolo di volta in volta nella sfera "dell'economia sommersa" o della disarticolazione del mercato del lavoro. Sappiamo bene, infatti, che il fenomeno pone in primo piano il coinvolgimento della manodopera straniera e i settori d'attività dove questa piaga è particolarmente estesa sono l'agricoltura, l'edilizia e il turismo, aree lavorative che tradizionalmente occupano forza lavoro straniera.

Il migliore deterrente contro la criminalità legata ai cittadini immigrati nel nostro Paese è stato già detto è l'integrazione in particolare la scuola, che è un potente motore d'integrazione: se cominciamo oggi, fra qualche anno anche i bimbi rom saranno a tutti gli effetti integrati.
Giovanni Scalabrini riproponendo anche le sue testimonianze, il suo impegno instancabile per gli emigrati - "i figli della miseria e del lavoro" come li definì in un discorso a Ferrara - sosteneva che per rafforzare il radicamento e i legami bisogna promuovere la cultura e l'impegno sociale, perché l'abbandono a se stessi è il peggior nemico dell'integrazione e della costruzione di una dignità riconosciuta dalla società di accoglimento.
Non a caso, fin dagli anni ottanta del secolo scorso un grande sociologo come Ralf Dahrendorf aveva indicato come uno dei rischi maggiori del mondo contemporaneo il dissolvimento del vincolo sociale, che produce anomia, la quale a sua volta costituisce un grave pericolo per la democrazia in quanto crea masse di persone indifferenti rispetto a tutto ciò che trascende l'orizzonte quotidiano.

Signor Presidente, non bisogna lasciarsi andare a misure frettolose e provvisorie per dare l'impressione di gestire l'immediato ma bisogna avviare una riflessione nella società per capire che modello sociale vogliamo realizzare per il futuro, se costruire una società dove la comunità ha un valore oppure se privilegiare il singolo, se vogliamo costruire un percorso di sviluppo che si basa sull'integrazione oppure se si ferma alla repressione. Per fare questo bisogna fermarsi e studiare le situazione per capire le priorità; solo così si potrà affrontare il problema in maniera organica e far sentire al cittadino la presenza di uno Stato amico.

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